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Leonid Savin | Quel ponte a Est da ricostruire | 08.07.2010
    9 èþëÿ 2010, 16:25
 

Leonid Savin

Quel ponte a Est da ricostruire

La geografia suggerisce un rapporto più stretto tra Europa e Russia

Sebbene la geopolitica sia, per sua natura, legata agli spazi geografici e ai processi politici, essa costituisce una scienza complessa, una sorta di sistema di sistemi, dove intervengono fattori sociali, culturali, religiosi, filosofici e linguistici. E sullo sfondo del dualismo planetario delle civiltà di terra e di mare, questi fattori possono, per le popolazioni dei Paesi e dei continenti, giocare un ruolo sia attrattivo che repulsivo. Gli attuali processi globali, in particolare la crisi, ci obbligano al revisionismo delle vecchie relazioni internazionali e dei sistemi ideologici che prima erano considerati adeguati e ragionevoli.

Jean Baudrillard è stato artefice dell’introduzione nel discorso filosofico e sociologico del termine “simulacro”, cioè qualcosa che, pur non avendo alcuna relazione con l’originale, en sostiene l’autenticità. Se letteralmente il termine simulacro, è la traduzione latina della parola greca eidolon, ovvero idolo, io credo che sia giunto il momento di rovesciare questi idoli, di distruggere questi simulacri che, per lungo tempo, ci hanno condotto nella direzione sbagliata, impedendo lo sviluppo di relazioni stabili e proficue fra i popoli dell’Eurasia.

Mi piacerebbe iniziare il mio ragionamento con “la paura e la storia”. Per molto tempo in Europa, si è diffusa l’opinione che la Russia rappresentasse una minaccia per le nazioni europee.

Lo scienziato russo Nikolai Danilevskij nel suo libro La Russia e l’Europa aveva, a mio parere, molto intelligentemente indicato la causa della paura europea nei confronti della Russia. Basta guardare la cartina - aveva scritto - e capirete perché l’Europa cerca cautamente di guardare verso Oriente: la Russia appare come una grande massa continentale che incombe sull’Europa occidentale densamente popolata, che in questa prospettiva, appare poco più di una penisola.

Ma la Russia non è mai stata promotrice di importanti campagne militari di conquista nei confronti dell’Europa, combattendo solo all’interno di coalizioni, e come sappiamo dalla storia, spesso per secoli è stata come un burattino nelle mani dell’Impero britannico che da questi conflitti traeva i propri vantaggi. Ma già nel Ventesimo secolo, con il sostegno attivo degli Stati Uniti d’America,il mito della minaccia sovietica si è accresciuto, assumendo dim ensioni inimmaginabili: il clima di paura ha creato il blocco militare della NATO, che serve gli interessi degli Stati Uniti manipolando sia la leadership politica del Paese che la coscienza sociale. Dopo tutte le idee sullo Stato-Leviatano di Thomas Hobbes, che deve possedere una funzione di vigilanza e di sanzione basata sulla paura di ciò che la società non è in grado organicamente di regolare come processo sociale e, inevitabilmente come “Bellum omnium contra omnes”, il Leviatano di Hobbes è servito come una delle basi del sistema politico europeo, dove l’esigenza di contratto sociale derivava dalla premessa: “homo homini lupus”.

Come ciò si differenzi dalle idee del katechon bizantino, dove la Chiesa esiste in sinergia con lo Stato, così come dall’idea su cui si fonda l’impostazione politica in Russia, dove alla base di un sistema è stata posta la ricerca della verità, dal concetto di servire lo Stato come un percorso di sviluppo personale e spirituale, che era anche alla base dell’Impero Ottomano, dove governò il Sufismo.

Nemmeno Karl Marx poté vincere questa paura, penetrata a livello genetico nell’essenza della civiltà occidentale. E come risultato la lotta di classe si trasformò in orribili esperimenti, palesanisi durante il regime di Pol Pot in Cambogia. Tuttavia, il Leviatano di Hobbes, insieme all’idea di John Stuart Mill circa il liberalismo, come libertà individuale e abolizione progressiva delle restrizioni, ha portato alla nascita dell’ideologia del neoliberismo con tutte le sue conseguenze.

L’idea di una crescita economica infinita, uno dei dogmi del neoliberismo è un perfetto esempio di delirio, dato che lo spazio terrestre, le risorse naturali e il tempo stesso della vita umana sono finiti per natura. Se guardiamo il meccanismo delle agevolazioni creditizie e degli interessi, caratteristici del capitalismo liberale, ci troviamo di fronte lo stesso problema, perché il tempo si riferisce ai fenomeni, che non si prestano ad analisi economica. È quindi logico che la bolla finanziaria nei diversi settori, separata dalla produzione effettiva e favorita dalla globalizzazione, così come l’industria di alcuni Paesi sviluppati, sia stata ripresa in Asia e in altre regioni, portando al collasso e all’attuale crisi economica. E insieme ai problemi di unificazione e di consumismo costituisce una grave minaccia per l’esistenza di una serie di Paesi europei, sviluppatisi sulla via neoliberista.

Risultato di ciò è un circolo vizioso e, analogamente a Scilla e Cariddi, per passarci nel mezzo è necessario possedere abilità e coraggio. L’idolo del neoliberismo debe essere schiacciato, questo è chiaro. Ma permane la paura che rimanga un vuoto dell’ideologia, del sistema di controllo, di gestione e distribuzione della ricchezza. Pertanto, in un certo senso, l’Europa è destinata alla cooperazione con la Russia. Non è solo per la dipendenza energetica che i politici europei amano ritornare su questi passi, ma anche per necessità dovute alla costituzione geografica: l’Heartland si trova nel cuore della Russia, essendo un magnete per l’intera periferia eurasiatica.

Ora è molto più importante trovare un modo comune di sviluppare una nuova teoria politica, che possa sostituire le idee superate dell’epoca attuale - fra le quali il liberalismo - e che costituisca la base culturale del riavvicinamento economico e sociale dei popoli dell’Eurasia.

A questo proposito, il lavoro del Centro “Vox Populi” sia in Italia che fuori, è una componente importante di questo processo. Il libro Porte d’Eurasia, pubblicato del Centro può diventare un faro illuminante del percorso verso nuovi orizzonti storici. Ma affinché questo possa procedere facilmente, è necessario reimpostare gli obsoleti sistemi ideologici e i cliché sociali, nonché condurre, in maniera quanto più rapida possibile, il neo-liberalismo al suo completamento, poiché se non vi sarà una conclusione saremo destinati a dissolverci in una ripetizione senza fine, in una serie infinita di processi, in una crisi infinita.

Ma se invece esso giungerà alla sua fine, allora gli renderemo giustizia, dicendo che questo è veramente accaduto e che lo avremo già trattato come un passato storico, e sui suoi errori noi costruiremo il nostro futuro comune.

Intevento di Leonid Savin alla VII edizione del workshop “Terra e Mare” del Centro Studi
“Vox Populi”, Pergine Valsugana, 25/27 giugno 2010
“LINEA”, 1 luglio 2010

  
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