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Archivio de EURASIA a cura di Martino Conserva
original text
Aleksandr
Dughin
IL “FINANZIARISMO”, STADIO
SUPREMO DEL CAPITALISMO
1. In quale sistema di coordinate esaminare il
fenomeno del "finanziarismo"
Il capitalismo
finanziario rappresenta una variante casuale della
sostanza comune dello sviluppo del sistema
capitalistico? Oppure è l'estrema incarnazione di tutta
la sua logica, il suo trionfo?
La risposta a questa domanda non si trova nei
classici del pensiero economico, dato che il loro
orizzonte era limitato alla fase industriale dello
sviluppo, la tendenza generale e la pregnanza di senso
economico della quale essi (soprattutto i marxisti)
indagarono in modo corretto e completo.
La società
postindustriale costituisce per molti aspetti una realtà
oscura. Nel suo studio non esistono classici
riconosciuti, sebbene molti autori abbiano gettato uno
sguardo molto approfondito su questo fenomeno. Allora,
comprendere il "finanziarismo" tocca proprio a noi, che
ci piaccia o no.
Perfino per potersi accingere ad un'adeguata disamina
di questo tema, occorre gettare uno sguardo sulla storia
del paradigma economico, ritrovarvi il posto del
"finanziarismo" non semplicemente dal punto di vista
della cronologia quantitativa, bensì dal punto di vista
della rilevanza qualitativa di questo fenomeno nel
contesto generale dello sviluppo dei modelli economici.
Ma già qui, allo stadio zero di impostazione del
problema, ci imbattiamo in un'incertezza, che erode il
quadro dell'analisi. Esiste davvero un'unica storia
dell'economia? Una tale storia è esistita, per di
più in due (o tre?) versioni alternative. Questa storia
dell'economia è riconosciuta così da posizione liberale
(il capitalismo è l'espressione del moderno e più
progressivo paradigma dell'economia), come da posizione
marxista (il socialismo e il superamento del capitalismo
sono il moderno e più progressivo paradigma
dell'economia). Vi fu ancora un terzo indirizzo (cioè la
"eterodossia economica"), la quale in assoluto rifiutava
di valutare il paradigma economico secondo questa rozza
formula (progressivo - non progressivo) come gli
economisti classici. Ma questa scuola economica della
"terza via" (della quale ho esposto una relazione nel
quadro della "Collezione Economico-Filosofica"),
nonostante la presenza nei suoi ranghi di economisti e
filosofi di alta classe, rimase marginale.
2. Valutazione problematica del finanziarismo
nell'ottica marxista
Gli avvenimenti degli ultimi
dieci anni hanno mostrato un netto successo della linea
storica dell'economia liberale. E proprio nella cornice
del pensiero economico e filosofico liberale sono nate
le prime teorie della società post-industriale. Il
pensiero socialista è rimasto interamente entro i
confini del paradigma industriale, e il dramma del
crollo del sistema sovietico immette nella storia di
questa disputa concettuale accenti inequivocabili.
Il sistema liberale ha saputo - eludere le
rivoluzioni socialiste; - dissolvere il
proletariato: - prevenire il suo consolidamento in
partito rivoluzionario attivo su scala mondiale; -
vincere la guerra ideologica con il campo socialista.
Sotto questi aspetti, il modello liberale è riuscito
a superare la minaccia del marxismo.
Oltre che con una posizione di vantaggio tattico, qui
noi abbiamo a che fare con importantissima conclusione
concettuale. Riconosco che per un gruppo di determinate
concezioni del mondo questa conclusione sarà accettata
con molta difficoltà, che il pensiero stesso di tale
generalizzazione a qualcuno apparirà offensivo. E
tuttavia, una gran quantità di fattori ci avvicinano al
pensiero, che proprio il paradigma liberale - cioè
specialmente il Capitalismo conseguente - costituisce il
paradigma economico che incarna in sé lo spirito stesso
del mondo moderno. Il liberal-capitalismo si è rivelato
essere il più attuale regime economico, più del
socialismo (e degli altri modelli economici della "terza
via").
Ma se è così, allora i sistemi socialisti devono
essere decifrati a posteriori non come meno adeguati,
ostentando tuttavia il moderno paradigma dell'economia.
E' tutto enormemente più complesso: l'orientamento
anticapitalistico e la premessa filosofica, giacente nel
fondamento stesso del modello economico del socialismo,
si rende visibile come specie delle tendenze antimoderne
relativamente all'economia, ma non solo rispetto ad
essa. Non un vicolo cieco, ma l'ultimo combattimento
(velato, stilizzato esteriormente sotto la "modernità)
del paradigma antimoderno di una visione del mondo, che
si esprime nella teoria e nella prassi economica (vedi
A. Dughin, "Il paradigma della fine" in Elementy
n.9).
Oggi la posizione socialista vale meno del due di
picche: non basta (non solo), che le previsioni di Marx
sulla transizione dell'Occidente industrializzato al
socialismo si sono realizzate in Oriente nel modo
agrario-asiatico di produzione, ma è battuto anche un
ultimo argomento - il fatto dell'esistenza del marxismo
(e del marxismo vittorioso, realizzato, sia pure
volontaristica, blanquista - leninista) in vasti settori
del pianeta.
Come in questa situazione pervenire a che proprio il
socialismo costituisca un fenomeno più "progressivo", a
quel significato che lo stesso corso della storia
mondiale (la famigerata necessità storica) vada proprio
nella direzione di esso? Non è possibile. Si pone sempre
più chiaro questo fatto, che il socialismo costituisce
il risultato di un risoluto sforzo generale, il prodotto
non dello stesso corso oggettivo della storia, ma
precisamente l'insurrezione contro questo corso
oggettivo, frutto di una insurrezione eroica e di un
atto di eroismo psicologico morale, nel quale la massima
tensione ha riunito in un abbraccio l'élite
rivoluzionaria e la massa della nazione. La specificità
geografica e culturale dei paesi dove il socialismo ha
vinto non emerge in questo contesto come una casualità,
ma come un fattore importante seppure non risolutore. La
geopolitica corregge l'economia politica (vedi A.
Dughin, "Il paradigma della fine", cit.).
Il socialismo vinse nei paesi dell'Oriente, sul piano
culturale, storico, etnico e religioso avversario degli
orientamenti e delle priorità occidentali. Il
messianismo escatologico eurasista russo (ed ebraico
eterodosso) dei commissari si rivelò un argomento ben
più ponderoso che non le raffinate astrazioni
dell'economia politica. L'universalismo marxista non si
dimostrò altrettanto valido. E il marxismo come mezzo
linguistico concettuale andò in rovina con l'Impero
russo-Sovietico.
Il tentativo di decifrare oggi il fenomeno del
"finanziarismo" in un'ottica marxista ortodossa rimane
notoriamente infruttuoso, perché l'ortodossia stessa
oggi è distrutta. Ad essa si presenta preliminarmente il
compito di superare la sfida più seria: una non
contraddittoria spiegazione marxista dei paradossi del
XX secolo e soprattutto del destino tragico del
socialismo nel suo ultimo decennio. Soltanto dopo di
questo sarebbe possibile muovere oltre. Ma il marxismo,
avendo superato tale compito, sarebbe ancora in tutto e
per tutto il marxismo ortodosso di prima? E' difficile.
Così, il liberalismo ha tutte le basi per analizzare
il "finanziarismo" secondo la sua personale ottica. Il
movimento verso un'economia puramente finanziaria sarà
in questo caso uno stadio più moderno e più
"progressivo". Nella misura in cui il capitalismo stesso
è moderno e "progressivo", altrettanto "progressivo" e
"moderno" è il finanziarismo.
3. "Dominio reale del Capitale"
Il liberalismo
ha assimilato dalla visione del mondo socialista (e
perfino dal marxismo) ciò che dal punto di vista
paradigmatico non ha contraddetto i fondamenti della
logica capitalistica, e ha distrutto le rimanenti forme
- in effetti rigorosamente alternative - al termine di
una guerra ideologica, economica e geopolitica.
La fase di sviluppo post-industriale del capitalismo,
quando, propriamente, è transitato allo stadio di
economia puramente finanziaria, è coincisa con la
globalizzazione e totalizzazione dello stesso paradigma
liberale. Il finanziarismo è un modulo di stadio dello
sviluppo del paradigma capitalistico. E inoltre, un
modulo legato alla trasformazione di questo paradigma in
qualcosa che non ha alternative. Il finanziarismo è un
limite logico, verso cui è attirato lo sviluppo più
autosufficiente del Capitale.
Marx (nel VI libro inedito del "Capitale") descrisse
questo come ciclo possibile del "dominio reale del
capitale", che sopraggiunge qualora nella precedente
fase del suo "dominio formale" il soggetto proletario
alternativo, rivoluzionario, non abbia vinto la
battaglia. Questo tema marxiano della non
predeterminazione, riguardo all'esito finale della
battaglia mondiale fra Lavoro e Capitale, era
temuto come il fuoco dal marxismo ortodosso. (Vedi
Jean-Marc Vivens, "Dal dominio formale del Capitale al
suo dominio reale", in Elementy n.7).
Così, sorge il pensiero di collocare il
"finanziarismo" nella zona escatologica della storia
economica dello sviluppo capitalista. Tale approccio
sarà perfettamente corretto dal punto di vista della
principale tendenza dello sviluppo capitalistico, che
consiste nel progredire dell'alienazione. All'inizio
nell'alienazione dei risultati del lavoro dai
produttori, in seguito nell'alienazione del plusvalore,
in seguito nell'alienazione dell'intera sfera della
produzione nel sistema del credito bancario, e infine
nella traduzione dell'intera economia nel modus della
speculazione finanziaria virtuale.
4. Liberalismo come alienazione, "progresso" come
decadenza
Il finanziarismo corona la logica del
capitalismo e rappresenta in sé l'ultimo (supremo)
stadio dell'alienazione.
Proprio in tale processo di totale alienazione si
mostra chiaramente il corso naturale dello sviluppo
storico nell'ottica della società tradizionale. Ma nella
Tradizione sorge costantemente il tema degli eroi, dei
profeti e dei salvatori, che resistono contro l'entropia
storica, contro la gravitazione dell'esistente. (Come
analogo a tale insorgenza "pre-escatologica" può essere
annoverato a pieno diritto Marx e la sua dottrina). Ma
presto o tardi anche questa iniziativa cade sotto la
macina del destino, e le condizioni apocalittiche si
aggravano.
Questo punto di vista tradizionalista presenta
"progresso", "corso naturale del tempo", "modernità"
come destino e male, come caduta inerziale di una massa
pesante, come conseguente raffreddamento dell'essere.
Per i tradizionalisti la storia è Alienazione.
La storia della civiltà è vista come alienazione in
Rousseau (il "bon sauvage", guastato dalla società), in
Hegel ("alienazione dell'Idea Assoluta") e in Marx
("allontanamento dal comunismo primitivo").
Il rivolgimento fortunato ("democrazia retta" in
Rousseau, "Stato Prussiano" in Hegel, "Rivoluzione
Mondiale" in Marx) ha luogo proprio nonostante l'inerzia
della storia. Così la "fine del mondo" (secondo i
cristiani - questo evento ontologicamente affermativo)
viene dopo l'epoca dell'anticristo. E la venuta
dell'anticristo si riconosce come l'esatto segno della
prossima Seconda Venuta. Ma ciò, naturalmente, non
significa che la notizia certa dell'approssimarsi della
Seconda Venuta si diffonda allo stesso "principe di
questo mondo". Nel massimo di alienazione vi è soltanto
questo di buono; che, una volta giunto al limite, questo
processo micidiale sarà stato sradicato dalla mano
destra che punisce del principio trascendentale.
5. Economia finanziaria e dialettica del male
Il
liberalismo è la naturale tendenza dello sviluppo della
"filosofia dell'economia", autonomizzata, staccata
dalle altre strutture sociali di valore nella sua
incarnazione qualitativamente moderna. Il finanziarismo
rappresenta in sé il picco dello sviluppo dell'economia
moderna. Ossia - la costanza dello status
quo.
Altra questione, come noi valutiamo il
"finanziarismo" e più in generale la linea di sviluppo
economico "liberal-capitalista" nel complesso. Se il
"finanziarismo" ("dominio reale del capitale") si mostra
a noi a tinte scure, allora noi (consapevolmente o
inconsapevolmente) ci troviamo sulla piattaforma
alternativa allo spirito all'attualità. E questo non va
nascosto dietro frasi sul "progresso". Non fa per noi il
corso naturale della storia (compresa quella economica),
noi consideriamo immorale l'entropia storica e
desideriamo opporci ad essa. In tal caso, occorre
volgerci - in forma volontaristica, leninisticamente -
non solo a tutto quell'arsenale di punti di vista "non
finanziaristi" sull'economia, ma a tutti i modelli
economici non moderni, anti-moderni, fondati
sull'"eroico" (secondo il termine di Werner Sombart)
impulso al superamento del corso malvagio del mondo
contemporaneo.
Il "finanziarismo" non è un problema meccanico di una
qualche deviazione del paradigma economico del
capitalismo, ma una normale tappa del suo sviluppo -
quella del suo trionfo a livello mondiale.
Lamentarsi del fatto che i volumi della speculazione
finanziaria nelle borse mondiali superano più volte i
bilanci dei paesi sviluppati, o che il trasferimento
fittizio di capitali attraverso i computer della rete
borsistica intralcia lo sviluppo dei settori produttivi
reali, deviando gli investimenti verso le sfere
dell'economia illusoria, è stupido e
irresponsabile. L'alienazione della finanza dalla sfera
produttiva, la virtualizzazione della sostanza economica
sono il normale accordo finale dello sviluppo
capitalistico.
6. L'indimostrabile imperativo della
rivoluzione
Possiamo dirci completamente d'accordo
con quelle così estreme prognosi catastrofiste che
vengono fatte a proposito di tali tendenze etiche da
analisti imparziali. Effettivamente, l'accrescimento
dell'economia virtuale a danno del settore reale della
produzione è foriero di catastrofe economica. L'elemento
di informazione delle società post-moderne aspira a
sostituirsi definitivamente alla realtà, rimpiazzandola
con l'illusione del suo irruente sistema operativo. E ad
un certo momento questo sarà fatale.
Ma questa, secondo l'ottica delle società
tradizionali (e delle altre dottrine non liberali,
antiliberali), è la logica assoluta di qualsiasi
processo immanente, nel quale non intervengano (non
possano se non vogliono intervenire?) principi
trascendenti. Il capitale (come massima alienazione,
come totale riduzione al principio materiale
quantitativo) già da molto tempo ha aspirato ad essere
il soggetto unico della storia umana. Nel
"finanziarismo" ciò gli è riuscito. Nella
rappresentazione ha vinto molto più facilmente che nel
suo originale. L'economia fittizia virtuale sottopone a
sfruttamento lo stesso principio di realtà - così come
sottopone a sfruttamento le realtà dell'economia e la
sua ontologia (sebbene questa ontologia non possa essere
indipendente, essa di necessità deriva dalla più
generale forma supereconomica metafisica e sociale).
L'antitesi al "finanziarismo" (perfino teoretica) non
può essere manifestata nelle precedenti fasi dello
sviluppo del capitalismo.
L'economia è soltanto una lingua, e in questa lingua
è possibile formulare qualsiasi messaggio. Il modello
liberale dell'economia ("economics") è il messaggio del
trionfo dell'alienazione e dell'entropia,
dell'atomizzazione dell'insieme sociale, politico,
culturale e storico. Questo il messaggio dello "spirito
moderno", il messaggio dell'Illuminismo. I "sinistri"
(democratici radicali, Rousseau, socialisti, comunisti)
ed i "destri" (fondamentalisti, tradizionalisti,
integralisti) hanno da tempo decifrato la novella
liberale (nei filosofi John Locke, Jeremy Bentham, John
Mill e negli economisti Adam Smith e David Ricardo) come
incarnazione del male nel mondo, come dissoluzione
dell'essenza organica. E' questo lo spirito funesto,
nichilistico della modernità, che si fonda sull'"esilio
degli dèi" (M. Heidegger), sulla "morte e assassinio di
Dio" (F. Nietzsche), sullo "sfruttamento" (K. Marx).
Il "finanziarismo" non è nulla di fondamentalmente
nuovo, è il liberal-capitalismo nella sua forma più
pura. E' la "modernità", completamente vittoriosa
(vincente) sulla sua antitesi.
Perciò il dissenso nei confronti del "finanziarismo"
su scala nazionale o planetaria non è possibile senza
una rivoluzione globale della coscienza, senza
un'eccellente revisione di ogni ideologia antiliberale,
senza la formulazione di una nuova Alternativa
integrale, per di più un'Alternativa non soltanto nei
confronti del risultato (lo stesso "finanziarismo"), ma
nei confronti della sua causa ("capitalismo"
"liberalismo", "spirito moderno").
E' impensabile ricercare una simile Alternativa nella
sfera della stessa economia. Essa dovrà essere
trascendente rispetto all'intero complesso dei discorsi
moderni, a tutta la "lingua della modernità". E solo
dopo di ciò, quando sarà stato foggiato il paradigma
filosofico globale della Rivoluzione Finale, quella
alternativa potrà essere rivestita di forma economica,
come metodo pragmatico di esposizione di un imperativo
trascendente, induttivamente indimostrabile ed
empiricamente non evidente.
Questa è la funzione dei "nuovi profeti", dei "nuovi
salvatori", dei "nuovi eroi".
L'antifinanziarismo è soltanto il livello
superficiale della più profonda e più radicale lotta al
capitalismo e al liberalismo, l'esigenza della quale
deriva non da interessi pragmatici, ma dalla profondità
della dignità di specie del soggetto umano, che rinuncia
perfino nell'abisso dell'abbandono di Dio a
riconciliarsi con il mondo dissanguato, che insorge per
una più elevata ontologia, per una nuova sacralità, per
la giustizia e la fratellanza, per la libertà e
l'uguaglian
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